giovedì 22 settembre 2011

Venerdì.

Hai frugato nelle sue tasche rotte. Hai graffiato con le tue mani gonfie. L'hai guardato rantolare sul tappeto, agonia di un cane rognoso. Hai tagliato le sue unghie sporche e lavato gli ultimi sguardi dagli occhi.
Ti truccavi le labbra di crema, assaggiavi la terra con le dita, solennemente accompagnavi impettita la marcia delle formiche in salita.
Le carezze, dal viso, scendevano e non capivi perchè tua madre tremava nel vederti camminare, perchè tua madre piangeva se rifiutavi di sederti per cena.
L'hai nascosto in una coperta, una delle tante fatte a mano, che usavi come rifugio, le grotte di lana. L'hia baciato sulla fronte, perchè è da lì che sei venuta, perchè da lui avevi imparato a gridare e soffocare, a sentire più d'ogni altra quanto amore e la violenza, quanto il sangue e la disperazione.
Hai guardato le tue calze rotte, uguali a quelle di quando eri bambina.
Perchè è da lì che sei venuta e lì voleva farti tornare.
Hai sussurrato un arrivederci e sei uscita dalla sua casa. In cortile tua madre piangeva, l'hai vista camminare a fatica. Hai guardato le sue calze rotte, uguali a quelle di quando eri bambina. Stesso amore, la violenza, stesso sangue e disperazione.
Venerdì e le campane annunciavano le tre. Un ultimo sguardo a quella chiesa, casa del padre domenicale, trovato avvolto in una coperta a cinque passi dall'altare.

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