domenica 23 marzo 2008

Riflessi.

Cento occhi di Andrea che si specchia assonnato, prende il sapone e comincia il restauro.
Cento mani di Anna che non si specchia senza prima aver indossato la sua fascia per capelli.
Cinquanta teste di Carlo, che si protende nello specchio per la pulizia cutanea che fa lacrimare.
Sei per cinquanta orecchini di Alice, luccicanti, acciaio, anelli e palline.
Dieci per cinquanta unghie di Giada, riverniciate ogni mattina assecondando l'umore.
Cinquanta colli di Luca, che trattiene un tatuaggio in una cravatta moka, macchiata di caffè.
Cinquanta collane di Veronica accomodate sulla scollatura del tailleur.
Cinquanta ciondoli incipriati di Sabrina incastonati in cento seni candidi.
Cinquanta facce di Marta, impalcature agli zigomi, ne avrà per mezz'ora e si inizia sempre col pennello.
Cinquanta bocche di Ramon screpolate dal freddo e dalla polvere della galleria.
Alcuni denti di Giuliano, gli altri galleggiano nella città sotterranea, passati da una grata. Sono rimasti in pochi dopo la serata dei pugni chiusi. I denti, come gli amici. Restano quelli con le radici più salde.
Tutta la barba di Eugenio, che cade, neve ingiallita, svelando il volto di un fanciullo provato dal tempo.
E i baffi di Mauro, che porta da quando si è sposato. Oggi è domenica. Oggi si accorciano.


Tra centinaia di solchi che mai nessuno ha tentato di levigare, Agata vede i baffi sorridenti di Mauro, che ancora si alzano seguendo il suo viso, come tanti anni fa, duecento occhi annacquati, affievoliti ma non ancora spenti, duecento tempie incanutite e qualche nuova macchia sul dorso della mano.
Vede la casa in cui è tornata dopo molti anni, vissuta da altri, affittata ad avvocatini, segretarie, studenti, operai, estetiste ed esteti, imbiancata e reimbrattata, ingiallita, insanguinata.
La sua casa, in cui è entrata con le gambe ed il sorriso di Mauro, quando ancora non portava i baffi.
Sente l'acqua che scorre diventare calcare, sente le ossa e le giunture sgretolarsi dolcemente, mentre si china nella vasca, le dita irrigidirsi nell'aprire il rubinetto, voci di vento entrare dalla finestra. Le tende ondeggianti filtrano un tramonto malinconico e dalla finestra una galleria, un concessionario, una fabbrica senza cancello. Un lenzuolo annerito la chiama OKKUPATA.
Un grido si alza dallo scarico del lavandino e l'acqua ricomincia a scorrere.
Agata è tornata, perché è lei la casa, quel sorriso, la moquette consumata e bruciata dalle sigarette, le tende di pizzo fatte a mano, lei i cuscini sula sedia a dondolo.
Odora di acido e soda caustica la sua vecchia nuova casa, di scarpe ammuffite e pentole troppo poco lavate, di limoni e fiori secchi.
Cento occhi annacquati, un po' pallidi si, ma non ancora spenti e nuove ombre attorno a lei a consolare le sue ossa sporgenti. Mario non c'è più. Ma non si è allontanato. Cinquanta riflessi di Agata e di chi ha vissuto prima di lei, sempre più nitidi al passaggio di una spugna sulle piastrelle del bagno.